Gli stimoli chiamano stimoli

26.03.2021
Nel dubbio, meglio una politica più espansiva

Sintesi

All’inizio della scorsa settimana i mercati hanno dovuto fare i conti con diversi importanti eventi: il netto deprezzamento della lira turca, il prolungamento del lockdown in Germania, i maggiori progressi della campagna vaccinale negli USA rispetto all’Europa. Vi sono altri segnali a conferma del cosiddetto “eccezionalismo americano”. Lo slogan più adatto sembra essere: “Gli stimoli chiamano stimoli”. Dopo il pacchetto di aiuti da USD 1.900 miliardi, il presidente Biden sta già pensando al nuovo piano di investimenti a supporto di infrastrutture e transizione climatica. Ma gli investitori non dovrebbero perdere di vista il possibile piano di inasprimento fiscale e i rischi di aumento dell’inflazione nel medio termine.

All’inizio della scorsa settimana i mercati finanziari hanno dovuto fare i conti con diversi importanti eventi:

  1. Il netto deprezzamento della lira turca ha sottolineato ancora una volta che i mercati valutari preferiscono le banche centrali indipendenti.
  2. In  Germania, l’incremento dei nuovi casi di coronavirus e la lentezza della campagna vaccinale hanno indotto il governo federale e le autorità locali a prolungare il lockdown sino al 18 aprile e a fare marcia indietro sui primi timidi passi verso l’allentamento delle misure restrittive. Di conseguenza, la ripresa economica tedesca con ogni probabilità inizierà più tardi del previsto.
  3. Negli Stati Uniti le la somministrazione dei vaccini procede molto più speditamente  che nell’Unione Europea (UE). Tuttavia  questo non è l’unico fattore a sostegno dell’“eccezionalismo americano” nel quadro  di previsioni globali generalmente favorevoli per il 2021 (cfr. Grafico della Settimana). Lo slogan che più si addice agli USA sembra essere: “Gli stimoli chiamano stimoli”.

A inizio marzo il Congresso statunitense ha approvato il pacchetto di aiuti da USD 1.900 miliardi proposto dal Presidente Joe Biden e volto a mitigare l’impatto economico della pandemia, e si sta già pensando al prossimo piano di stimoli. Stando alla stampa, il cosiddetto “American Recovery Plan” decennale, del valore di circa USD 3.000 miliardi, dovrebbe incrementare il potenziale di lungo periodo della prima economia mondiale. Il piano prevede generosi investimenti nel rinnovo delle infrastrutture, nella transizione a un’economia climaticamente neutra e nell’istruzione.

Occorre tuttavia fare alcune puntualizzazioni:

  • Primo, durante la campagna elettorale il Presidente Biden aveva annunciato un  piano di inasprimento fiscale che avrebbe evitato di finanziare le misure di stimolo unicamente tramite l’incremento del debito pubblico. Le sue intenzioni non sono pienamente condivise dal Congresso e potrebbero cambiare, inoltre un aumento  delle imposte sulle società potrebbe intaccare gli utili aziendali. Gli investitori dovrebbero pertanto prestare molta attenzione agli sviluppi politici nel corso dell’anno.
  • Secondo, un possibile “eccesso di stimoli fiscali” rischia di surriscaldare l’economia USA, con conseguenti rischi inflazionistici. Una simile eventualità potrebbe costringere la Federal Reserve a ridurre gli stimoli monetari prima di quanto previsto dal mercato. Un incremento troppo veloce e/o troppo ampio dei rendimenti obbligazionari USA potrebbe alimentare i rischi di ribasso per le asset class rischiose. Eppure, in occasione della riunione del FOMC della scorsa settimana la Fed ha confermato che per il momento non intende ridurre il volume degli asset acquistati, e eventuali rialzi dei tassi di interesse sembrano essere ancora più lontani. Quindi i mercati finanziari, Stati Uniti in testa, sono ancora trainati da due forze: da un lato il contesto macroeconomico positivo, caratterizzato da previsioni di accelerazione della crescita globale oltre il potenziale nel secondo e terzo trimestre, e da politiche economiche accomodanti che offrono ulteriore sostegno; dall’altro, la crescente preoccupazione per la possibile riduzione nel tempo del sostegno della politica monetaria.

 

La settimana prossima

Per quanto riguarda l’Asia, la settimana  prossima si attendono in particolare gli indici  PMI relativi alla Cina (mercoledì e giovedì). Benché l’attendibilità dei PMI come indicatori anticipatori sia stata messa in dubbio un po’ in tutto il mondo a causa della grande volatilità durante la crisi di Covid-19, gli investitori continuano a prestarvi grande attenzione. L’economia cinese ha da tempo recuperato le perdite subite a inizio 2020  e gli ultimi indicatori del sentiment suggeriscono un rallentamento del rialzo. 

Nell’area euro, martedì conosceremo l’Indicatore del Sentiment Economico della Commissione Europea che ci darà un’idea dello stato dell’economia a fronte dei continui lockdown.  La campagna di vaccinazione e l’aumento delle temperature con l’arrivo della bella stagione alimentano le speranze di una moderata ripresa delle attività dopo un inverno critico soprattutto nel settore dei servizi, gravemente penalizzato dalla pandemia. Tuttavia potremmo dover attendere gli indicatori anticipatori di aprile per avere la conferma di un miglioramento della situazione. Al contempo, elementi una tantum, come gli importanti effetti base, il rincaro delle commodity e possibili strozzature nel settore dei servizi dopo l’allentamento delle restrizioni imposte dal coronavirus, potrebbero determinare un rialzo dell’inflazione nei prossimi mesi (dati attesi per mercoledì). Detto ciò, un temporaneo incremento dell’inflazione non dovrebbe indurre la Banca Centrale Europea a rivedere la politica monetaria espansiva.

Negli Stati Uniti saranno pubblicati diversi indicatori anticipatori relativi al mese di marzo, come l’indice sulla fiducia dei mercati (martedì) e il PMI dell’ISM (giovedì), che faranno luce sul possibile andamento della crescita nel secondo trimestre. La recente sospensione dei sussidi speciali ha intaccato gli indicatori dei consumi, come quelli relativi alle vendite al dettaglio. Inoltre, in febbraio la produzione industriale è stata frenata dalla rigidità delle temperature invernali. Ma si tratta probabilmente solo di piccoli nei in un quadro ciclico complessivamente dinamico. Vi è altresì grande attesa per le statistiche sul mercato del lavoro USA. Per il 2021 la Fed prevede la crescita più elevata (6,5%) dal 1984 oltre a una flessione del tasso di disoccupazione. Il Segretario del Tesoro USA Janet Yellen ritiene inoltre possibile un ritorno alla piena occupazione nel 2022, come ha dichiarato martedì nell’udienza alla Camera dei Rappresentanti. In tale contesto, un lieve incremento dei posti di lavoro deluderebbe i mercati e comporterebbe pressioni ribassiste sui rendimenti dei Treasury a breve termine. Tuttavia, data la generosità della politica fiscale, sembra più probabile una conferma del moderato trend rialzista dei tassi governativi.

Cordialmente,

Ann-Katrin Petersen

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