“No landing” in vista?

Immaginate di pilotare un aereo. Siete nei pressi dell’aeroporto di destinazione e iniziate la fase di discesa, ma un problema tecnico impedisce al velivolo di atterrare. È più o meno quello che potrebbero provare in questo momento le banche centrali, soprattutto quella statunitense… Cosa possiamo aspettarci dai “piloti dell’economia” e quali le ripercussioni per gli investitori?

Immaginate di pilotare un aereo. Siete nei pressi dell’aeroporto di destinazione e iniziate la fase di discesa, ma un problema tecnico impedisce al velivolo di atterrare. È più o meno quello che potrebbero provare in questo momento le banche centrali, soprattutto quella statunitense. L’inasprimento dei tassi, la flessione dei prezzi dell’energia e la riduzione delle criticità lungo le filiere hanno determinato un rallentamento dell’inflazione rispetto ai picchi che aveva raggiunto, ma l’avvicinamento al target del 2% come previsto, si presenta impegnativo.

Una situazione certamente complessa per i “piloti dell’economia”, ovvero le banche centrali. Ma gli investitori in azioni e in obbligazioni high yield da inizio anno hanno potuto ottenere rendimenti positivi e raccogliere consistenti premi per il rischio. Tutto ciò è riconducibile soprattutto alla crescita sorprendentemente solida degli Stati Uniti. E al contempo, anche in Europa si stanno moltiplicando i segnali di un miglioramento timido ma costante degli indicatori di sentiment. Possiamo probabilmente mettere da parte i timori di un “hard landing” dell’economia USA per i prossimi trimestri, non da ultimo considerando che anche i dati sugli utili societari si mantengono solidi.

Se l’economia statunitense non rallenta, per “i piloti” delle banche centrali sarà difficile, se non impossibile, riportare l’inflazione al suo target del 2%. Finora la discesa dell’inflazione USA è stata principalmente determinata dal calo su base annua dei prezzi dell’energia e in parte anche da una flessione dei prezzi dei beni, ma l’inflazione relativa a immobili e servizi ha di recente rialzato la testa.

Di conseguenza, forse potrebbe essere il momento di tirare il freno ancora una volta. Dopo che a dicembre Jerome Powell, il “pilota in comando” della Federal Reserve statunitense (Fed), aveva prospettato un “atterraggio morbido” (soft landing), nelle ultime settimane gli annunci dalla cabina di pilotaggio hanno nuovamente assunto toni più attendisti, che lasciano presagire un “volo a vista”. Il mercato monetario USA ha reagito di conseguenza: a metà gennaio erano attesi circa sei tagli dei tassi da 25 punti base ciascuno, mentre oggi se ne prevedono solo tre.

Nel complesso, sono aumentate le probabilità per uno scenario di “no landing”. In ogni caso, finché l’economia si confermerà più solida del previsto, i mercati azionari potrebbero riuscire a fronteggiare la situazione. Nelle ultime settimane diversi indici hanno persino toccato nuovi massimi. Ad esempio, il Nikkei giapponese ha superato per la prima volta il record precedente risalente addirittura al 1989 e l’indice statunitense S&P-500 non solo ha varcato la soglia dei 5.000 punti, ma ha anche stabilito un nuovo massimo storico.

Tuttavia, nello scenario di “no landing” la visibilità sull’andamento di tassi e crescita è inferiore rispetto allo scenario di “soft landing”, considerando che l'economia dopo un atterraggio potrebbe anche decollare di nuovo. Ma alla fine ciò che conta è che i piloti evitino di far schiantare l’aereo…


Stefan Rondorf

Il quadro descritto suggerisce la seguente allocazione tattica sui mercati azionari e obbligazionari:

  • Fintanto che l'inflazione non scende e la crescita si mantiene superiore alle aspettative, i mercati azionari dovrebbero essere in grado di affrontare la situazione, insieme al rinvio o all'annullamento dei tagli dei tassi. Tuttavia, in caso di riaccelerazione dell’inflazione, potrebbero invece subire una battuta d’arresto.
  • Di recente molti indici azionari hanno raggiunto soglie psicologiche importanti o nuovi massimi storici. Dal punto di vista tecnico, gli investitori non devono temere di “essere arrivati troppo tardi”. È improbabile che il trend rialzista rallenti in modo significativo dopo che gli indici hanno superato tali soglie. Dal 1928, la performance dei mercati azionari dopo il raggiungimento di nuovi massimi storici in media è risultata nella norma; a titolo di esempio, mediamente i rendimenti dell’indice S&P-500 sono stati persino superiori alla norma nei 6 mesi successivi ad un nuovo massimo.
  • La stagione di pubblicazione degli utili societari per il quarto trimestre 2023 si può definire solida per gli USA e sufficientemente buona per Europa e Giappone. Le valutazioni ambiziose, soprattutto negli Stati Uniti, richiedono tuttavia che l’andamento degli utili rimanga solido anche in futuro.
  • Chi investe in azioni sembra sempre più “compiacente”, come traspare ad esempio dalla relazione tra rapporto prezzo/utili e volatilità.
  • Il mercato azionario, in particolare quello USA, presenta nuovamente un elevato livello di concentrazione, è cioè trainato da pochi titoli che pesano molto negli indici. Gli investitori continuano a privilegiare i temi orientati al futuro come la digitalizzazione e l’intelligenza artificiale.
  • I mercati delle obbligazioni governative hanno risentito della riduzione delle aspettative di taglio dei tassi. Di conseguenza sono tornati a muoversi in direzione opposta rispetto ai mercati azionari, uno sviluppo positivo in termini di potenziale di diversificazione delle soluzioni multi asset.
  • L’incertezza circa l’inizio e l’entità delle riduzioni dei tassi è aumentata. Al momento i mercati monetari scontano i primi tagli da parte della Federal Reserve e della Banca Centrale Europea (BCE) a giugno. E adesso sembra anche possibile che la BCE inizi ad abbassarli prima della Fed. Una simile eventualità favorirebbe il dollaro USA.
  • I premi di rischio (spread) delle obbligazioni societarie si sono ridotti a fronte del rialzo dei mercati azionari. Sono bassi rispetto ai dati storici e non lasciano molto margine di manovra in caso di difficoltà nel servizio del debito.
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