La luna di miele è finita

Come si suol dire, la realtà inizia a farsi sentire non appena la luna di miele finisce. Ed è proprio quello che si potrebbe osservare per il rapporto tra gli investitori e la nuova amministrazione statunitense: una misurata analisi dei fatti sta gradualmente sostituendo l’iniziale senso di ottimismo con cui il mercato ha accolto la vittoria di Donald Trump a novembre. È tempo per gli investitori di fare un bilancio dopo le prime settimane della nuova amministrazione statunitense…

Come si suol dire, la realtà inizia a farsi sentire non appena la luna di miele finisce. Ed è proprio quello che si potrebbe osservare per il rapporto tra gli investitori e la nuova amministrazione statunitense: una misurata analisi dei fatti sta gradualmente sostituendo l’iniziale senso di ottimismo anticipato con cui il mercato ha accolto la vittoria di Donald Trump a novembre. È tempo per gli investitori di fare un bilancio dopo le prime settimane della nuova amministrazione statunitense.

Crescita negli Stati Uniti: Una politica commerciale imprevedibile agli occhi tanto dei partner commerciali esteri tanto degli operatori statunitensi, i tagli alla spesa pubblica federale, il licenziamento in massa dei dipendenti federali e l’incombente deportazione degli immigrati privi di documenti sembrano già avere un impatto su alcuni indicatori del sentiment delle imprese. Ciò si riflette, per esempio, nell’indice PMI di S&P Global per l'importante settore dei servizi statunitense, che a febbraio ha raggiunto 49,7 punti, registrando un calo molto significativo di oltre 7 punti dal picco locale di dicembre. Anche la fiducia dei consumatori ha subito un colpo, ma in questo caso vanno considerati due fattori attenuanti: in primo luogo, nonostante i recenti cali, i livelli assoluti di entrambi gli indicatori continuano essenzialmente a segnalare un’economia in espansione; in secondo luogo, il valore dei cosiddetti indicatori di sentiment “soft” per spiegare la crescita è diminuito negli ultimi anni (in particolare negli Stati Uniti) e gli “hard data” quali le vendite al dettaglio e la produzione industriale si sono dimostrati più utili per comprendere la crescita del PIL.

Inflazione negli Stati Uniti: Il recente annuncio dei dazi imposti sui principali partner commerciali, che si aggiungono a quelli entrati in vigore al momento della stesura del presente documento, apre all’ipotesi di un forte aumento dei prezzi delle importazioni statunitensi, a scapito sia di tutte le aziende manifatturiere che importano prodotti intermedi sia di tutti i rivenditori che vendono beni importati. Gli studi condotti nel 2018, anno in cui Donald Trump ha imposto per la prima volta i dazi (soprattutto sulle merci provenienti dalla Cina), suggeriscono che alla fine sono stati i consumatori statunitensi a pagarne le spese: in fin dei conti, i dazi non sono che una tassa aggiuntiva ed è quasi inevitabile che possano avere un effetto inflazionistico. A gennaio, vale a dire prima che Trump introducesse di fatto i dazi, il ritmo dell’inflazione aveva subito una nuova accelerazione; con ogni probabilità, questo è dovuto alle imprese che hanno incrementato in modo significativo anche i prezzi dei beni meno soggetti ad adeguamento a inizio anno.

Il quadro al di fuori degli Stati Uniti: Mentre negli Stati Uniti l’entusiasmo si attenua, gli investitori sembrano godere di un certo grado di febbre primaverile nei confronti dei mercati europei e asiatici, in particolare della Cina. Quanto all’Europa, questo rinnovato ottimismo si inserisce in un contesto di rapidi e drastici cambiamenti nel panorama geopolitico, che esercitano un’immensa pressione sui governi (soprattutto in termini di politica legata alla difesa). È tuttavia giustificato sperare che questo quadro complesso porti a un’espansione fiscale e, di conseguenza, a una crescita dell’economia e degli utili: l’arco di tempo stimato e rilevante per i mercati finanziari è di 4-6 trimestri. Ciò non toglie che la situazione rimanga nebulosa e irta di sfide e che vi sia il rischio concreto che l’Europa cada vittima della politica tariffaria statunitense.
Lo stesso vale per la Cina: da un lato, si spera in un pacchetto di stimoli quale risposta indiretta ai dazi statunitensi; dall'altro, aleggia un senso di euforia per il fatto che la percezione del mercato sia cambiata in relazione ai progressi dell’intelligenza artificiale e che vi sia un riavvicinamento tra il Partito Comunista Cinese e i principali attori del settore privato.

Poiché Trump è in carica da solo poche settimane, questa non è che un’istantanea iniziale e molto provvisoria del contesto prevalente sotto la nuova amministrazione statunitense. Tuttavia, è lecito affermare che le prospettive di crescita e inflazione iniziano a mettere in agitazione gli investitori. Considerando le valutazioni elevate e i portafogli di molti investitori in modalità “riskon” a inizio anno, potrebbe essere imminente una fase di volatilità sui mercati. In uno scenario favorevole, l’amministrazione statunitense potrebbe essere propensa a riorientare la propria agenda verso politiche più favorevoli ai mercati, come l’estensione degli sgravi fiscali o la riduzione delle normative.

Picco dell’eccezionalismo statunitense? Il sentiment nel settore dei servizi degli Stati Uniti è recentemente calato in modo significativo, ora più o meno allo stesso livello dell’area euro 
Prodotto interno lordo pro capite (2019=100)

Fonte: AllianzGI Global Economics & Strategy, LSEG Datastream, 05.03.2025. I rendimenti passati non sono indicativi di quelli futuri.

Il contesto attuale suggerisce la seguente allocazione tattica in termini di azioni e obbligazioni:

  • Per quanto riguarda i mercati azionari, l'eccezionalismo degli Stati Uniti sembra aver raggiunto un livello di picco, poiché gli investitori temono le prospettive di crescita e inflazione. La sovraperformance del mercato statunitense pare essersi arrestata, almeno temporaneamente. Nonostante i tumulti del panorama geopolitico, aree a lungo trascurate (come l'Europa e la Cina) sono riuscite a recuperare terreno: in questi mercati, le valutazioni sono più interessanti rispetto agli Stati Uniti e vi è potenziale per superare le basse aspettative. 
  • A ben guardare, si è assistito a un graduale ma evidente allontanamento dai titoli growth a grande capitalizzazione negli Stati Uniti, in particolare quelli incarnati dai “Magnifici Sette”. Sembra che sia iniziato un periodo di prese di profitto. Nel medio termine, ciò potrebbe ridurre gradualmente i rischi associati agli indici azionari altamente concentrati. Inoltre, è in corso una timida rotazione verso gli indici value e i titoli secondari. Al momento, l'ansia per la crescita economica sembra trainare i settori difensivi come i beni di consumo non ciclici o le telecomunicazioni.
  • Per quanto riguarda le obbligazioni, lo scenario probabile rimane quello di curve dei rendimenti più ripide e una redditività del comparto obbligazionario relativamente positiva. Tuttavia, stante un contesto di inflazione vischiosa, non si può presumere che le banche centrali reagiscano immediatamente ai rischi sempre più presenti per la crescita tagliando i tassi di interesse; questo vale soprattutto per la Federal Reserve, la banca centrale statunitense, che deve anche considerare la possibilità di un aumento dell'inflazione a causa dei dazi. 
  • Ipotizzando una crescita USA nominale tendenziale attorno al 4%, il livello di equilibrio dei tassi di interesse sui Treasury USA a 10 anni (obbligazioni governative) si attesterebbe attorno alla medesima percentuale. Adottando un ragionamento simile per l'area Euro o per la Germania, il rendimento di equilibrio a lungo termine dei titoli di Stato tedeschi a 10 anni dovrebbe aggirarsi intorno al 2,5-3%.
  • I premi sui tassi d'interesse per le obbligazioni societarie con rating creditizio buono (“investment grade”) e scarso (“high yield”) sono piuttosto bassi. Le obbligazioni societarie godono di un posto in portafoglio fintantoché non emergano indicazioni di recessione, quindi è consigliabile privilegiare quelle investment grade rispetto a quelle high yield. Tuttavia, non ci attendiamo un’ulteriore riduzione dei premi sui tassi di interesse. Se la volatilità dei mercati azionari aumenta, l’ampliamento degli spread è del tutto prevedibile.
  • Di recente, così come la sovraperformance dei mercati azionari statunitensi si è arrestata, anche l'apprezzamento del dollaro statunitense ha subito una battuta d'arresto; ciò può essere attribuito ai dubbi prevalenti sulla crescita degli Stati Uniti, che inizialmente hanno portato a un calo dei tassi di interesse previsti nella parte breve della curva dei rendimenti. La conseguenza è stata una lieve riduzione del differenziale dei tassi di interesse rispetto ad altre valute come l'Euro. Il dollaro USA potrebbe aver raggiunto un picco temporaneo.

Tema di investimento: Reddito da investimenti dai dividendi 

  • Probabilmente nel 2025 i dividendi delle società quotate comprese nell’MSCI Europe raggiungeranno un nuovo massimo. Dai nostri calcoli risulta che nel 2024 le società dell’indice azionario europeo MSCI Europe hanno distribuito dividendi per circa 440 miliardi di euro. Per il 2025 si prevede un aumento a EUR 459 miliardi circa.
  • I dividendi offrono un contributo spesso sottovalutato al rendimento complessivo di un investimento azionario e concorrono a stabilizzare la performance totale negli anni in cui i prezzi scendono.
  • Negli ultimi 40 anni i dividendi hanno rappresentato quasi il 39% del rendimento complessivo annualizzato di un investimento azionario nell’MSCI Europe. Nell’America settentrionale e nell’area Asia-Pacifico i dividendi hanno contribuito al rendimento complessivo rispettivamente per quasi il 22% e poco oltre il 41%.
  • A tal proposito, è interessante notare che le società tendono a perseguire una politica sui dividendi molto stabile che, in molti casi, è orientata a un aumento delle distribuzioni.
  • Guardando agli scorsi decenni si nota che la stragrande maggioranza delle società dello STOXX Europe 600, ad esempio, ha incrementato i dividendi ogni anno.
  • Un numero decisamente inferiore di aziende ha invece ridotto le distribuzioni, a eccezione di anni quali il 2009, appena dopo la crisi finanziaria globale, e il 2020, segnato dalla pandemia.
  • Grazie alla loro crescita costante e al contributo significativo al rendimento complessivo, i dividendi rappresentano uno strumento ideale per generare reddito aggiuntivo.

Cordiali saluti,

Stefan Rondorf
Senior Investment Strategist, Global Economics & Strategy

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