Cosa succede al “put” delle banche centrali?

28.01.2022
TWA - monetary policy divergence

Sintesi

La scorsa settimana è stata caratterizzata da due eventi principali: il meeting del FOMC e le preoccupazioni per l’Ucraina. Il rialzo dei tassi di riferimento e dei rendimenti obbligazionari ha provocato qualche tensione, ma prevalgono ancora tassi e rendimenti reali negativi…

La scorsa settimana è stata caratterizzata da due eventi principali: la riunione del Comitato di politica monetaria della Federal Reserve (FOMC) e le preoccupazioni per l’Ucraina.

È ormai sempre più chiaro che la Fed è determinata non solo ad abbandonare i tassi di interesse ultra bassi, ma anche ad alzarli quanto prima. Un primo rialzo è ora atteso per marzo. La banca centrale USA è decisamente “dietro la curva”, cioè in ritardo rispetto all’inflazione e, naturalmente, rispetto alle attese. Questo vale non solo per quanto riguarda i tassi, ma anche in termini di normalizzazione del bilancio dopo gli ingenti acquisti di bond. Tuttavia, sinora gli osservatori non hanno riflettuto bene su una questione: sino a che punto la Federal Reserve è disposta ad accettare una maggiore volatilità dei prezzi e a spingere la “central bank put” (implementa per la prima volta dall’ex governatore della Fed Alan Greenspan) out of the money oltre quanto si attende il mercato? Sarebbe un passo importante, poiché le “free put” distorcono non solo il prezzo del denaro (e, col tempo, l’intera struttura dei prezzi) ma anche le preferenze in termini di rischio e, di conseguenza, le decisioni di investimento.

Dopo la riunione della Fed di giovedì, i riflettori si spostano ora sulla Banca Centrale Europea (BCE). Nella situazione attuale la timidezza è assolutamente inopportuna. Dopotutto, una politica monetaria di successo si basa sulla fiducia, e la fiducia non deve essere adombrata da alcun sospetto circa la priorità della politica (fiscale). Nel 1960, il premio Nobel Friedrich August von Hayek scrisse nel suo libro “The Constitution of Liberty” che la politica monetaria potrebbe benissimo essere indipendente da quella fiscale a patto che la quota della spesa governativa sulla spesa aggregata rimanga relativamente modesta e che il debito statale (in particolare quello a breve termine) rappresenti solo una piccola parte del debito complessivo. Questo concetto è valido ancora oggi.

Anche se il rialzo dei tassi di riferimento e dei rendimenti obbligazionari ha provocato qualche tensione, prevalgono ancora tassi di interesse e rendimenti reali negativi.

I recenti indicatori del sentiment dipingono un quadro eterogeneo dell’economia. Il PMI di Markit per gli Stati Uniti ha evidenziato un calo ben superiore al previsto, il PMI manifatturiero dell’area euro ha sorpreso al rialzo, per lo più in ragione degli sviluppi in Germania. L’indice relativo al Regno Unito è rimasto stabile. Nel complesso, sembra che la variante Omicron abbia effetti molto diversi sulle singole economie. 

La prossima settimana

La quinta settimana dell’anno porta con sé una nuova ondata di dati economici. Si inizia con il PIL dell’area euro e i prezzi al consumo della Germania. Conosceremo inoltre il livello della fiducia dei consumatori giapponesi e il PMI di Chicago per gli USA. Quindi sarà la volta dei prezzi al consumo dell’Eurozona e dei suoi Stati membri. Probabilmente tali dati alimenteranno le speculazioni sulla linea futura della BCE. Con il venir meno di alcuni effetti base, i tassi di inflazione dovrebbero avvicinarsi al picco. Ma il picco non è ancora stato superato. Inoltre, non è chiaro se i prezzi scenderanno o se si stabilizzeranno sui livelli attuali (noi propendiamo per la seconda ipotesi). La Bank of England prenderà una decisione sui tassi la prossima settimana. L’istituto ha già virato verso una politica meno accomodante. Quando agli altri dati in arrivo, segnaliamo in particolare l’indice ISM dei servizi, i nuovi ordinativi USA e le statistiche sull’occupazione statunitense. L’andamento del mercato del lavoro USA è un importante indicatore anticipatore delle pressioni inflazionistiche.

Nel complesso, il nervosismo cresce: lo conferma il CISS (“Composite Indicator of Systemic Stress in the Euro Area”) della BCE, il suo equivalente calcolato dalla Fed di St. Louis e l’aumento della volatilità sui mercati azionari e obbligazionari. Anche i media delle principali aree geografiche sono sempre più portati a riferire l’aumento dell’incertezza, come si evince dall’indice di incertezza della politica economica (cfr. grafico della settimana). Il quadro tecnico è delicato. La propensione al rischio sta diminuendo.

Benché una politica monetaria più restrittiva possa causare qualche tensione, occorre tenere a mente due elementi:

  • Nonostante la riduzione delle iniezioni di liquidità delle banche centrali, l’offerta di liquidità complessiva rimarrà abbondante. Sino a che la crescita si confermerà robusta, la liquidità dovrebbe sostenere le azioni nel medio periodo, anche se i prezzi potrebbero registrare flessioni temporanee.
  • Se una banca centrale procede alla normalizzazione della politica monetaria è perché crede che l’economia e i mercati finanziari siano sufficientemente stabili per un simile cambiamento. E questo è un segnale incoraggiante.

Cordialmente

Dr. Hans-Jörg Naumer


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